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mercoledì 27 febbraio 2019

LA STORIA DEL CHITARRISTA JAZZ CHE NON DIVENTO' UN BARBIERE: WILBERT LONGMIRE.

  Se non avesse fatto il musicista, sarebbe stato un barbiere. Ma Wilbert Longmire ha sempre saputo di potercela fare come chitarrista jazz e non solo, sin da quando prese in mano per la prima volta un violino. Nato in Alabama nella piccola cittadina di Mobile, già a tre anni con i suoi genitori si trasferì a Cincinnati. E' a scuola che inizia a studiare il violino ed ascoltare musica classica che dopo un po' abbandonò per preferire le sei corde di una chitarra che imparò senza l'aiuto di nessuno, da autodidatta. Ma anche quella sei corde, dopo un po' sembrava non attrarlo più, tanto da lasciar perdere la musica per un po'.
  Ma di lì a poco, dietro l'angolo si stava aprendo la prima porta al mondo della musica, quello reale fatto dal vivo con un vero pubblico che ti ascolta. Durante una Motown Revue si unì al gruppo The Students dove si fece subito notare per il suo stile di suonare la chitarra elettrica. 
  Siamo all'inizio degli anni '60 e proprio nel '63, Wilbert viene ingaggiato dall'organista Hank Marr per suonare in vari album del suo combo. Ormai il suo nome stava girando abbastanza nell'ambiente jazzistico, tanto che venne chiamato dalla organista soul-jazz Trudy Pitss per i suoi album del periodo con la Prestige, stile Philadelphia sound: A Bucketful of Soul e The Excitement of Trudy Pitss.  
  In seguito ebbe anche la fortuna di partecipare al primo album del giovane violinista francese di jazz-fusion Jean Luc Ponty, Electric Connection in cui compariva come produttore e arrangiatore il trombettista Gerald Wilson che durante la stessa sessione di registrazione lo coinvolse nel suo brano "Scorpio Rising" apparso su Eternal Equinox dello stesso Wilson.
   Finalmente nel '69, Wilbert Longmire mette insieme le proprie idee e registra il suo primo album, Revolution, con un sound più vicino al funk-soul che al jazz puro. Ad accompagnarlo in questa avventura discografica ci sono nomi già noti del circuito jazz professionistico di Los Angeles, tra gli altri: Joe Sample (in veste di arrangiatore) e Wilton Felder (sax) dei Jazz Crusaders, il batterista Paul Humphrey (che già per tutti gli anni '60 era stato al fianco di Wes Montgomery, Les McCann, Charles Mingus e Lee Konitz tra gli altri, per poi continuare una brillante carriera da leader e side-man) ed il trombonista George Bohannon che, proveniente da Detroit aveva nel sangue più soul che jazz, e Leon Spencer Jr. al piano e all'organo. Revolution non ebbe un gran seguito commerciale, girando anche poco sui piatti delle varie radio degli states. 
  Passarono ben sei anni quando nel 1975 Longmire incise The Way We Where. Precedentemente era ritornato nella sua Cicinnati per essere coinvolto dal suo amico Hank Marr nel disco di Rusty Bryant Fire Eater (1971) ritrovandosi al fianco di Leon Spencer Jr. e l'anno seguente, nel 1972, partecipò alle session di Gettin' Off di Bill Mason. Tornando a The Way We Where, la formazione si riduce ad un quintetto più intimista, dove ritroviamo alle tastiere Bill Mason. Ci sono le cover di "I Won't Last A Day Without You" dei Carpenters, di "The Way We Were" (il tema principale della colonna sonora del film di Sidney Pollack: 'Come eravamo'), il soul-blues di "Feels Like The Rain" scritta da Buddy Guy, "Until You Come Back To Me..." scritta da Stevie Wonder per Aretha Franklin e "You Make Me Fell Brand New" portata al successo due anni prima dagli Stylistics.
   Sulla scia del precedente lavoro discografico, nel 1976 esce This Side Of Heaven. Ma il successo commerciale sembra ancora lontano da venire.
   Da Cincinnati proviene anche George Benson. I due si conoscevano bene, essendo stati sempre buoni amici e mai rivali di chitarra. Il loro stile chitarristico attraversava percorsi molto simili, ma evidentemente negli anni l'amico George, accettando anche molti compromessi commerciali, raggiunse vette di notorietà irraggiungibili per il più defilato Wilbert. Ma è proprio l'amico Benson che gli concede una chance per affermarsi nel variegato mondo del soul-jazz, presentandogli Bob James, pianista, arrangiatore e ideatore dell'etichetta discografica Tappen Zee Records. Lo stesso Bob James fu entusiasta della scoperta del talento chitarristico di Longmire, aggiungendo che anche come vocalist fosse 'fantastico'. I due re mida della Tappan Zee, Bob James e Jay Chattaway lo misero subito sotto contratto e Longmire registrò ben tre dischi: Sunny Side Up (1978), Champagne (1979) e With All My Love (1980). Le sonorità erano quelle tipiche del periodo, un jazz-fusion senza troppi fronzoli, molto radiofonico che risentiva non poco del nascente smooth-jazz di cui James ne è stato un caposcuola facendo da apripista a vari jazzisti che se la passavano abbastanza male e decisero di passare a sonorità più commerciali. I session-man che gravitavano negli studi di registrazione della Tappan Zee era quelli di sempre del giro 'fusion' newyorkese degli anni '70: Brecker Brothers, David Sanborn, Eric Gale, Steve Khan, Richard Tee. Le basi per entrare a far parte del nascente 'smooth-jazz' c'erano tutte.
   Sunny Side Up è un disco fresco, godibile, ben curato, vedi ad esempio la cover di "Lovely Day" di Bill Withers. Nel disco compariva lo stesso Bob James al piano elettrico ma anche come compositore e arrangiatore, insieme a David Sanborn al sax, Eddie Daniels al flauto, Cornell Dupree ed Eric Gale come seconde chitarre ritmiche e le giovani vocalist, Gwen Guthrie e Patti Austin. 
   Il seguito fu registrare l'anno dopo Champagne, stilisticamente similare al precedente lavoro, ma ancora non abbastanza forte da suscitare l'interesse del pubblico. Doveva concretizzarsi una terza fatica discografica per togliersi qualche soddisfazione con la programmazione nelle radio di "Hawkeye", un brano tratto da With All My Love ed avere un certo successo commerciale. La curiosità è che tra i tre dischi pubblicati con la Tappan Zee, With All My Love è quello meno riuscito: la stessa "Hawkeye" ha un arrangiamento jazz-funk poco convincente. 
    Archiviata l'esperienza con la Tappan Zee che di lì a poco chiuse i battenti (gran parte dei musicisti che ne fecero parte passarono alla GRP), Longmire tornò a vivere a Cicinnati e continuò la sua carriera di comprimario nei dischi di altri jazzisti, ritrovandosi anche a metà degli anni '90 con l'amico organista Hank Marr (scomparso nel 2004) e suonando per locali in giro per l'Ohio.
   Il 05 Febbraio del 2018 il mancato barbiere Wilbert Longmire ci ha lasciato per sempre, ma non la sua musica. 

di : Gianfranco Ventrosini
                                                                                                                                       

  
   



giovedì 21 febbraio 2019

LE METEORE DEL SOUL/JAZZ : RAMP

  Nati sotto l'ala protettiva del vibrafonista Roy Ayers, i RAMP, nel loro piccolo si sono ritagliati un piccolo spazio nelle pagine della storia del soul/jazz degli anni '70. Il gruppo, unitosi nel 1976 a Cincinnati, era composto dal bassista Nate White, dal batterista e percussionista John Manuel, dal chitarrista Landy Shores e dalle cantanti Sibel Thrasher e Sharon Matthews.
  'Come Into Knowledge' è l'unica loro testimonianza sonora su disco pubblicata ABC Blu Thumb nel 1977, con la produzione dello stesso Ayers, presso gli studi di registrazione Electric Lady di New York City e i Record Plant di Holliwood in California. 
  Il nome del gruppo, altro non era che l'acronimo di 'Roy Ayers Music Productions'. E non poteva essere altrimenti, visto che delle nove tracce del disco, solo una Give It non è composta dal loro mentore. Ayers è da sempre considerato l'inventore del jazz/funk, e quest'unica testimonianza dei RAMP ne anticipa il successo degli anni a seguire.
  Quando uscì, il disco non ebbe un gran riscontro presso il pubblico. Essendo alla fine degli anni '70, anche il soul/jazz, che tanto aveva scombussolato la pancia ai puristi del jazz, ma tanto aveva contribuito a dare una vita professionale economicamente dignitosa a tanti jazzisti che se la passavano piuttosto male, stava probabilmente finendo il suo corso per lasciar spazio ad altre ibridazioni sonore.
  La sorte ha voluto che con l'avvento del RAP e dell'uso dei campionatori, A Tribe Called Quest utilizzasse frammenti tratti da Daylight nel suo pezzo Bonita Applebaum. Simile illuminazione ha avuto in seguito Erika Badu campionando Everybody Loves The Sunshine, che lo stesso Ayers riprese in un suo disco dando inizio all'era Ubiquity, riguadagnando
popolarità e seguito presso una platea ancor più vasta dei soli amanti del jazz, in cui era nato professionalmente.
 Dopo questa prima ed unica esperienza discografica, il gruppo di Cincinnati si sciolse, salvo poi riformarsi per un tour nel 2006.
 Intanto la versione in vinile di 'Come Into Knowledge' è diventato un vero culto per tutti gli amanti di rare-groove anni '70. La versione in CD è uscita nel 2007 prima in Giappone e poi negli USA. 

RAMP , Come Into Knowledge - ABC Blu Thumb, 1977 

a cura di : Gianfranco Ventrosini 

mercoledì 20 febbraio 2019

BIBLIOGRAFIA ITALIANA SULLA MUSICA BRASILIANA

  Negli anni Settanta, i musicisti brasiliani erano di casa qui da noi e spesso apparivano anche in programmi televisivi, e questo contribuiva a far familiarizzare i ritmi della samba o le note della bossa nova, col pubblico italiano troppo legato alle  melense melodie sanremesi. 
   Quando Vinicius de Moraes ed il figlioccio e fido chitarrista Toquinho, nel 1976 firmarono  insieme alla nostra Ornella Vanoni, il capolavoro discografico 'La Voglia, la Pazzia, l'Incoscienza, l'Allegria', il grande pubblico italiano prese definitivamente confidenza con la musica brasiliana. I dischi di Samba e Bossa Nova iniziavano a trovarsi regolarmente nei negozi specializzati. Le case discografiche stampavano regolarmente in Italia i dischi dei vari A. C. Jobim, Caetano Veloso, Jorge Ben, Gilberto Gil, Chico Buarque de Hollanda, Sergio Mendes per citarne solo alcuni. A Roma viveva stabilmente il bravissimo chitarrista Irio de Paula. Mina inserì nel suo repertorio la cover in italiano de la 'Banda' di Buarque de Hollanda, che per un pò soggiornò nel nostro paese fino al suo ritorno in patria nel 1978, insieme ad altri esuli, in un momento di forti tensioni politiche in Brasile.
  Nel 1969 ed in seguito nel 1972 Sergio Endrigo, incise canzoni per bambini scritte da Vinicius de Moraes, delicate canzoncine brasiliane con le traduzioni di Sergio Bardotti.
   Insomma, la musica brasiliana è entrata negli anni un po' nel DNA della cultura musicale italiana, ma a differenza di altre nazioni, l'ha spesso dimenticata e messa in un angolo.
  Quella che segue è la bibliografia, spero completa, di tutto quello che è stato scritto e stampato dagli editori italiani, sino ad oggi. Non tutti sono fondamentali da leggere, lo affermo da appassionato di Bossa Nova e collezionista di libri (sono pochi, quelli della lista che non ho), e quindi se devo consigliarne alcuni, ebbene fondamentale è Chega de saudade di Castro, con Verità tropicale di Veloso e la biografia di Jobim, facilmente reperibili. Ma per completezza storica, andrei alla ricerca dei due libri dell'Arcana: Tropicàlia di Catado e Gilberto Gil della Boschero. 

di : Gianfranco Ventrosini    

   Bibliografia italiana cronologica sulla musica brasiliana (1° aggiornamento) : 

Alvarenga Oneyda, Musica Popolare Brasiliana - Sperling & Kupfer, 1952
Jean-Yves Mérian, Andare in Brasile - Savelli, 1979
Vinicius de Moraes, Poesie e canzoni - Vallecchi, 1981
Paolo Scarnecchia, Musica Popolare Brasiliana - Gammalibri 1983 
Orestes Barbosa, Samba - Sellerio Editore, 1988
Marco Molendini, Caetano Veloso - Stampa Alternativa, 1994
Giuseppe Vigna, Caetano Veloso. La luna e la rosa - Tarab, 1995
AA. VV., Brasile. Il disco del mese (fascicolo + CD allegato) - Edit. La Repubblica, 1996
Hermano Vianna, Il mistero del samba - Costa & Nolan, 1998
Ivo Franchi, Caetano Veloso - Editori Riuniti, 2002
Caetano Veloso, Verità tropicale - Feltrinelli, 2003 - rist. Ediz. SUR 2019
N. Veselic, Echi d'Europa nella musica del Brasile coloniale - Il Calamo, 2004
Marco Molendini, C. Veloso e G. Gil. Fratelli Brasile - Stampa Alternativa, 2004
Giancalo Mei, Canto latino - Stampa Alternativa, 2004
Carlos Catado, Tropicàlia - Arcana, 2004
Silvia Boschero, Gilberto Gil - Arcana, 2004 
Ruy Castro, Chega de saudade - Angelica Editore, 2005  
Joao C. Pecci / Toquinho, L'anima della Bossa Nova - Hobby & Work (libro + DVD), 2005
Gildo de Stefano, Il popolo del Samba - RAI/Eri, 2005
C. Veloso/M. Paes, La terra del Choro (allegato al DVD: Brasileirinho) - Feltrinelli, 2006  
Ruy Castro, Rio de Janeiro - Guanda, 2007
Alberto Riva, Seguire i pappagalli fino alla fine - Il Saggiatore, 2008
Izilda Matos, Samba! Società, musica e sentimenti a Rio de Janeiro - Euno Edizioni, 2011 
Barbara Casini, Se tutto è musica - Angelica Editore, 2012
AA. VV., Musica erudita brasiliana (libro + CD) - Cangemi 2013 
Joao Carlos Pecci, Toquinho e la Bossa Nova - Europa Edizioni, 2013
Sergio Cabral, Antonio Carlos Jobim. Una biografia - A casa dei libri editore, 2014
Alberto Riva, Tristezza per favore vai via - Il Saggiatore, 2014
Igiada Scego, Caetano Veloso. Camminando controvento - ADDeditore.it, 2016
Gildo de Stefano, Saudade Bossa Nova - Logisma, 2017
Giancarlo Mei, Spiriti liberi. L'avventura brasiliana F. Purim & Airto Moreira - Arcana, 2017
Moreno Romagnoli, Bossa Nova. Storia breve - Bertone Editore, 2017
Francesco Bove, Joao Gilberto. Un'impossibile ritratto d'artista - Arcana, 2019
Pietro Scaramuzzo, Tom Zé. L'ultimo tropicalista - ADD Editore, 2019   


  

lunedì 18 febbraio 2019

LA MUSICA IN TASCA. PICCOLA STORIA DEI LIBRI TASCABILI CHE PARLANO DI MUSICA _ capitolo 01

   Una delle ragioni che mi hanno spinto ad aprire questo blog è, sì scrivere di musica, ma anche far conoscere cose rare o dimenticate. Tra queste ci sono i libri che raccontano storie vere legate alla musica e alle musiche che da sempre mi accompagnano, non solo nell'ascolto, ma anche nella lettura. 
  Per quanto riguarda i libri, ultimamente, sarà anche l'età, mi sento molto un raccoglitore di reliquie cartacee. Da tantissimi anni frequento mercatini dell'usato, spulcio tra bancarelle cittadine di libri, tra gli scaffali delle librerie di remaiders in giro per la penisola. Un po' quello che facevo quando giovane cultore della musica soul, compravo e vendevo vinili  e cd usati nei negozi specializzati, nei vari periodi in cui ho vissuto per alcuni anni, prima  a Roma e poi a Milano, per poi ritornare a vivere a Napoli. 
  Senza rendermene conto, essendo anche un lettore di riviste specializzate, sono diventato mio malgrado un collezionista di libri sul jazz, sul blues, sulla musica brasiliana e soprattutto sulla musica soul e r'n'b e sue evoluzioni. Ma se trovo qualcosa d'interessante, leggo anche di musica italiana e rock in genere.
    Sono però un collezionista atipico, non accanito, e soprattutto, se un libro è usato, non lo pagherei mai più dieci euro, perché non mi piacciono le speculazioni tipiche del collezionismo. 
   Essendo un appassionato di black-music, recentemente ho acquistato con entusiasmo tutti i volumetti che la Vololibero ha stampato per collana 'SOUL BOOKS' curata dal giornalista Alberto Castelli, per ora ferma a dieci uscite. Un'iniziativa editoriale lodevole nel suo complesso, tenuto conto che gli appassionati di soul rispetto ad altri generi, in Italia sono assi meno rispetto al rock o al jazz, e che editorialmente sono trattati regolarmente in libri talvolta anche sommari e inutili. Ma della Vololibero scriverò in seguito. 
    Il mio intento invece, è di tracciare una storia dell'editoria musicale in Italia in formato tascabile di ieri e di oggi, attraversando tutti i generi musicali.
    Chi come me ha superato i 50anni, ben ricorda i piccoli libri della Savelli, della Lato Side, la serie Kings of Jazz della Rusconi, i Jazz People di Stampa Alternativa o la serie Legends della Editori Riuniti, per citarne solo alcuni.

   Tutti questi piccoli libri sono ormai fuori catalogo ed anche difficili da recuperare, se non acquistati a suo tempo. Ma mai disperare, perché le bancarelle o le librerie che trattano l'usato sono un'ottima fonte di approvvigionamento a prezzi equi. Molto più che su Internet dove a volte vedo sparare dei prezzi assurdi per libri, neanche tanto validi, ma solo perché in copertina ci sono Hendrix o i Beatles. Ho acquistato libri usati o nuovi fuori catalogo a cinque euro in ottime condizioni sulle bancarelle cittadine o nelle librerie specializzate, e vederli poi sui siti on-line proposti a cinquanta euro, solo perché introvabili. 
   Proprio stamane, mi è capitato per caso di curiosare in un cesto di un'edicola nel mio quartiere e mi sono imbattuto in una copia di un piccolo libro sul jazz della Garzanti stampato nel 1957 che cercavo da tempo: I MAESTRI DEL JAZZ di Lucien Malson pagato appena €4,90. Quindi mai disperare.

a cura di : Gianfranco Ventrosini







  

giovedì 14 febbraio 2019

ALLA RICERCA DI NUOVI STANDARD _ capitolo 01 IL VIAGGIO SONORO DI HERBIE HANCOCK


   Il tastierista Herbie Hancock, con il suo "The New Standard", inciso nel 1995 ma pubblicato nel '96 dalla Verve Records, tentò un primo approccio nel ricercare nell'immenso album sonoro del '900, dei nuovi 'standard' da rileggere in chiave jazzistica. 
     Affinché uno standard diventi tale, dovrebbe lasciare una traccia nel tempo e nella mente delle persone. Il suo ascolto dovrebbe riprodursi più e più volte, ma non necessariamente uguale a se stesso. Il brano o la canzone diventa così noto a tutti. Lo ricordiamo immediatamente, anche se spesso non tutti ne conoscono l'origine. Nel caso delle scelte di Hancock, quest'ultimo intento, non sarà stato neanche lo scopo principale della realizzazione dell'intero lavoro di ricerca contenuto nell'album.
    Nelle undici tracce, di cui solo una è una composizione originale del tastierista ("Manhattan (Island of Lights and Love"), si naviga a vista tra brani noti e meno noti della storia del rock, del folk e dell'r'n'b.
    La differenza rispetto al passato è che prima il Jazz creava 'standard' esclusivamente attingendo ai classici songbooks dei grandi e famosi musical americani dei primi anni del '900. Quelli rappresentati a Broadway e firmati, per intenderci, dai vari Cole Porter, Harold Allen, Jimmy Van Heusen, Vernon Duke, Irvin Berlin, Jerome Kern, George e Ira Gershwin. La storia del Jazz deve molto a questi nomi e alle loro composizioni, ormai immortali.
    Tornando all'album di Hancock, la prima cosa che si nota è che ha scelto delle ballad (intendo le versioni originali) dai toni piuttosto pacati. Solo il brano di Prince "Thieves in the Temple" (incluso in Graffiti Bridge, 1990), parte come una ballad, per poi esplodere in un magma sonoro hard-funk. Andando scavando ancor di più nella storia dei vari brani, seppur meno famosi nel curricula dei vari artisti, hanno più o meno tutti scalato i piani alti delle rispettive classifiche di vendita. Il brano di Prince arrivò al numero 6 della classifica r'n'b in USA e 7 in UK. 
     Il brano di apertura, "New York Minute" scritto da Don Henley con Danny Kortchmar e Kay Winding (membri originari degli The Eagles) è del 1989, contenuto prima nel disco solistico di Henley 'The End of the Innocence' in una versione quasi totalmente strumentale, e ripresa in seguito dal loro gruppo con un testo più ricco. Arrivò solo al 48° posto della Billboard Hot 100. 
    Peter Gabriel (ex leader dei Genesis) è l'autore di "Mercy Street", contenuto nell'album 'So', uscito nel 1986. 
    "Norvegian Wood (This Bird Has Flown)" composta originariamente dal solo John Lennon ed in seguito accreditata anche a Paul McCartney, estrapolata da 'Rubber Soul', disco pubblicato dai Beatles nel 1965, è la più riconoscibile tra quelle reinterpretate da Hancock. 
    Con "When Can I See You", "You've Got It Bad Girl" e "Love Is Stronger Than Pride" il nostro, si tuffa a mani tese nei solchi più puri del soul e r'n'b classico e moderno. 
    Autore, cantante e produttore, Kenneth Brian Edmonds alias 'Babyface' di successi da alta classifica, nella sua carriera ne ha inanellati tanti, ben 26 numeri uno nella hit r'n'b USA. La sua "When Can I Say You" uscita nel 1994 come singolo dell'album 'For the Cool in You' scalò subito la vetta degli Hot 100 della classifica di Billboard. 
    'Talking Book' (1972) era il 15° album (conteneva l'hit 'Song the Key of Life') di uno Stevie Wonder ormai maturo e abituato ai gradini alti delle classifiche della black music. Hancock invece per la sua rilettura jazzistica sceglie "You've Got It Bad Girl". 
    Altra incusione nel soul, targata questa volta UK dalla voce soft della cantante di origini nigeriane Sade (Helen Folasade Adu). Siamo nel 1988, Londra è la nuova patria del soul targato UK, e Sade con 'Stronger Than Pride', suo terzo album in studio per la Epic records, conferma ancora una volta il suo valore come interprete. "Love Is Stronger Than Pride" ne è il singolo guida, suonato da tutte le radio del mondo. 
    Siamo quasi in dirittura d'arrivo e dal cappello a cilindro, come un mago Hancock ci propone la sua versione di "Scarborough Fair" che è sì una ballad della tradizione della musica folk inglese, ma non si può non tener presente l'nterpretazione fatta a suo tempo dal duo Simon & Garfunkel nel loro album del 1966 'Parsley, Sage, Rosemary and Thyme". Ma interpretato tra gli artri, negli anni, anche da Marianne Faithfull (1966), Sergio Mendes & Brasil '66 e Justin Hayward (membro dei Moody Blues) nell'89.  
    "All Apologies" è un vero atto d'amore che Kurt Cobain scrive per la moglie Coutney Love e la mamma Frances Bean Cobain. L'album che la contiene è 'In Utero', il terzo dei Nirvana uscito nel Settembre del 1993. Uscì come secondo singolo e diventò subito un successo della band, ricevendo ben due nomination ai Grammy Awards del 1995.
    L'ultima traccia sonora alla ricerca di nuovi standard Hancock la riserva agli Steely Dan di Donald Fagen e Walter Becker. "Your Gold Teeth II" proviene dalla fucina dell'album 'Katy Lied', che nel 1975 divenne Disco d'Oro. Il duo newyorchese con il suo background sonoro fatto di un sofisticate sonorità jazz, funky, r'nb e pop (due anni dopo nel '77 con l'album 'Aja' la loro classe si fece apprezzare in ogni dove), tra le personalità scelte per il disco sono quelle musicalmente più vicine alla storia professionale di Hancock. 
    Siamo alla fine di questa storia di jazz e non solo. Ho usato 'The New Standars' come pretesto per iniziare un mio  personale percorso alla ricerca di nuovi standard, senza alcuna pretesa musicologica. Volutamente, non essendo un musicista non ho fatto raffronti tecnici, compositivi ed esecutivi tra le versioni originali e quelli di Hancock. Non era il mio intento. Così come è irrisolvibile la questione se 'standard' e 'cover' siano simili. E se uno 'standard' debba per forza essere confinato nella sola sfera jazzistica. 
    Per approfondire la questione, consiglio la lettura di due libri che segnalo di seguito alla fine di questo primo capitolo sulla mia personale ricerca di nuovi standard.

Guida alla lettura :

Luca Bragalini, Storie poco standard. Le avventure di 12 grandi canzoni tra Broadway e jazz. - EDT 2013











Ted Gioia , Gli standard del jazz. Una guida al repertorio. - EDT/Siena Jazz 2015 











a cura di : Gianfranco Ventrosini


venerdì 8 febbraio 2019

LA CURIOSITA': L'ALBUM SMOOTH DI DIZZY GILLESPIE

   Siamo nel 1984, Dizzy Gillespie ha già da qualche anno superato i sessant'anni (per la precisione ne ha 67). La sua carriera di jazzista è sempre stata assai eclettica e votata all'innovazione, sin dai tempi in cui s'inventò con la sua inconfondibile tromba piegata all'insù, il be-bop per poi abbracciare i ritmi latini provenienti da Cuba e Portorico.
    Due anni prima, nel 1982, quel genio della musica soul di nome Stevie Wonder lo chiama al suo cospetto per impreziosire la sua "Do I Do" con il suono scintillante della sua tromba, in un assolo inconfondibile. "Do I Do" faceva parte del doppio album di Wonder "Original Musiquarium I°", e divenne subito un hit mondiale, trasmesso da tutte le radio del pianeta.
   Forse proprio perché soddisfatto da quell'esperienza così magica, il buon Dizzy, due anni dopo decise di mettere insieme un gruppo di musicisti con cui registrare "Closer To The Source". In giro per gli states, registrando tra New York ai Bear Tracks, gli A&M Studios in California ed i Criteria Studio di Miami, Dizzy riunì attorno a sè un gruppo di musicisti validissimi e con esperienza. 
   Furono scelti sette brani in tutto, tra cover e composizioni originali. Tra i musicisti che l'accompagnarono in questa avventura decisamente più commerciale, scegliendo di suonare un jazz dai toni più leggeri, spiccano i nomi di: Sonny Fortune al sax, Marcus Miller al basso ed al synth, Buddy Williams alla batteria, Hiram Bullock alla chitarra elettrica, Kenny Kirkland alle tastiere, Mino Cinelu alle percussioni, Bradford Marsalis al sax tenore e l'armonica di Stevie Wonder, probabilmente chiamato a ricambiare il favore di due anni addietro.
   Inutile dirlo, i puristi del jazz avranno sicuramente storto il naso, quando fu pubblicato il disco ed ascoltate le tracce, che si discostavano anni luce dalle note 'bop e latin' a cui il buon Dizzy li aveva abituati. Sì, certo, sarà stata sicuramente una operazione commerciale, in un periodo in cui, negli anni '80, il jazz era in una fase di smarrimento stilistico. C'era stato il jazz/rock degli anni '60 e nel decennio seguente, i '70, diversi jazzisti abbracciarono e cavalcarono l'onda sonora del soul/jazz. Poi tutto diventò 'fusion' e quando le note si fecero più 'easy' nelle radio FM nacque lo 'smooth jazz'.
  "Closer To The Source" è un album che andrebbe riscoperto dai cultori del 'smooth jazz' perché è stilisticamente perfetto, di facile ascolto ma con qualcosa in più.
   Il brano di apertura, 'Could It Be You', quasi una ballad è composto da Marcus Miller. Si prosegue con 'It's Time For Love' firmato da Gamble & Huff, originariamente portata al successo da Teddy Perdergrass. Poi arriva inaspettata la cover di "Closer To The Source" scritta ed interpretata originariamente da Leroy Hutson, dove ritroviamo le note dell'armonica di Stevie Wonder. Evidentemente è il soul ad ispirare musicalmente Dizzy per completare la scaletta dell'album, tanto da inserire un successo di Gladys Knight & The Pips, "You're No.1 In My Book", inciso appena l'anno prima, il 1983. Così arriviamo a "Iced Tea", forse la meno convincente di tutte, un po' latineggiante, stile Helb Alpert. L'unico brano  cantato dell'album è "Just Before Down" scritta da David Foster, noto compositore e produttore californiano. La voce è quella di Angel Rogers, che però viene malamente sporcata da troppo synth nell'arrangiamento. L'ultima traccia di questa avventura porta la firma di Herbie Hancock ai tempi di 'Mr. Hands' uscito nel 1980: è la cover di "Textures". L'arrangiamento di Bradford Marsalis in qualche modo stravolge la noiosa esecuzione originale di Hancock, rendendola più lirica. Bisogna riascoltarla più di una volta, soprattutto per apprezzare i contrappunti pianistici di Kenny Kirkland.
    Quindi, un Dizzy Gillespie in versione 'smooth jazz', poco conosciuto e da riscoprire.



Dizzy Gillespie, Closer To The Source, Atlantic Records - 1984



consiglio alla lettura :


Dizzy Gillespie, To be or not to bop. L'autobiografia, 
minimum fax edizioni - 2009








a cura di : Gianfranco Ventrosini            

lunedì 4 febbraio 2019

SEGNALAZIONI EDITORIALI #01



   


    La musica brasiliana in Italia ha avuto un gran seguito di pubblico, soprattutto negli anni '70,  quando alcuni dei maggiori compositori ed interpreti erano letteralmente di casa nel nostro paese.
   Caetano Veloso, Gilberto Gil, Chico Buarque de Hollanda, Vinicius de Moraes, Toquinho, Irio de Paula hanno vissuto in Italia per brevi o lunghi periodi, durante i quali non solo si esibivano spesso dal vivo nei nostri teatri, ma avevano anche un ottimo seguito televisivo. E non mancarono collaborazioni con alcuni nostri artisti del calibro di Mina, Ornella Vanoni o Sergio Endrigo.
   Detto questo, è stato un piacere rivedere in edicola una rivista italiana che tratta di musica come BLOW UP, che nel numero di Febbraio 2019 annunciasse in copertina l'articolo di fondo sulla Bossa Nova.
   Carlo Babando, in ben 12 pagine del suo "Quando il Brasile disegnò la Bossa Nova", prendendo inizialmente spunto dal mitico incontro discografico tra Frank Sinatra e Antonio Carlos Jobim alla fine degli anni '60, imbastisce un bel racconto avvincente e ben documentato sulla storia della Bossa Nova. La lettura è piacevole e si arriva alla fine dell'articolo soddisfatti. 
   Questo mini saggio, per un giovane lettore potrebbe sicuramente essere il punto di partenza per approfondire l'ascolto di una musica, quella 'brasiliana' in genere (quindi non solo bossa, ma anche samba e jazz di ieri e di oggi) che la radiofonia italiana snobba da sempre. 
   Una delle fonti bibliografiche citate dall'autore è il fondamentale libro di Ruy Castro "Chega de Saudade" tradotto anche in italiano nel 2005 (Angelica Edizioni), ma più recentemente, nel 2014, è uscita in libreria la biografia di Antonio Carlos Jobim, scritta da Sérgio Cabral (Casa dei Libri Editore). Di più facile reperibilità è invece il libro scritto da Caetano Veloso "Verità Tropicale" pubblicato nel 2003 da Feltrinelli.

   a cura di : Gianfranco Ventrosini