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martedì 30 aprile 2019

LA MUSICA IN TASCA. PICCOLA STORIA DEI LIBRI TASCABILI CHE PARLANO DI MUSICA _ Capitolo 02


   All'inizio degli anni '60, la G. Ricordi & C. di MIlano era nota soprattutto per la pubblicazione di spartiti musicali. Di lì a poco divenne anche il punto di riferimento di gran parte della musica leggera italiana ed in particolar modo del fenomeno dei cantautori, che alla Ricordi trovarono il loro punto di ritrovo e trampolino di lancio per la loro fortunata carriera discografica. 
  Ma tra il 1960 ed il 1961, la Ricordi diede alle stampe la prima collana di libri in formato tascabile sul jazz. Al prezzo di 700 Lire ognuno, con foliazione tra le cento/centoquaranta pagine, nacque la serie di libri denominata KING OF JAZZ. 
  Dodici piccoli volumetti scritti dai più noti critici di jazz del tempo, per la maggior parte inglesi, essendo traduzioni italiane di libri già editi in Inghilterra nel 1959 dalla Cassell & Co. Ltd. L'autore più noto della collana KING OF JAZZ, qui in Italia è stato sicuramente Paul Oliver per la sua 'La grande storia del Blues' tradotta in italiano in un paio di edizioni, ma da tempo fuori catalogo. Solo quattro volumi della collana della Ricordi sono stati scritti da noti critici italiani di musica jazz, tutti redattori della rivista specializzata (ancora oggi in edicola) Musica Jazz: Vittorio Franchini, Bruno Schiozzi, Roberto Leydi e Pino Maffei. 
   Negli anni '60 erano già molti gli appassionati di jazz in Italia e quindi queste agili e ben scritte biografie di jazzisti di cui tutti allora avevano almeno ascoltato un disco, saranno state subito acquistate e lette. Tutti i libri avevano una veste grafica coordinata ben riconoscibile, con copertine colorate laminate e con risvolto interno che ha aiutato nel tempo la loro conservazione. Attualmente non sono di facile reperibilità se non nel circuito dell'antiquariato bibliografico, ma ogni tanto spuntano su qualche bancarella di libri usati. 
  Alcune biografie, per un appassionato di jazz non collezionista di libri possono pure sembrare superflue. Di Count Basie, Duke Ellington, Louis Armstrong e Dizzy Gillespie in Italia la Minimum Fax ha tradotto e più volte ristampato le biografie ufficiali. Così come di Charlie Parker ci sono ben tre libri biografici (attualmente stampati da Stampa Alternativa, EDT e Minimum Fax), ma quella edita dalla Ricordi è sicuramente la più significativa della collana perchè, essendo stampata nel 1961 (l'edizione inglese è del 1959) è stata la prima biografia sul sassofonista di Kansas City uscita in Italia a soli cinque dalla sua morte avvenuta nel 1955. Di Fats Waller è stata fatta tempo fa una trasposizione a fumetti. Ma ad esempio su Sarah Vaughan o Lester Young, non vorrei sbagliarmi, ma ancora si aspetta a tradurre qualcosa. Per gli altri artisti inseriti nella collana come Benny Goodman, Bessie Smith, King Oliver o Bix Beiderbecke, essendo nomi molto datati, forse non avrebbe senso riproporli oggi.

a cura di : Gianfranco Ventrosini     







venerdì 19 aprile 2019

PHAROAH SANDERS: QUANDO IL SAX, DA FREE DIVENTO' SOUL



   Pharoah Sanders con il suo sax tenore ha dimostrato sin dall'inizio della sua carriera come musicista jazz, di andare sempre oltre gli stili e la tecnica strumentale. Il suo incontro con John Coltrane (entrambe suonavano il sax tenore) è stato fondamentale per farsi conoscere nel mondo del jazz.
   Con Coltrane ha condiviso una buona parte del periodo in cui il jazz diventava 'free' abbandonadosi a schemi interpretativi liberi e pieni d'improvvisazione. Ma come ben sappiamo, tutto ha una fine, ed anche il capitolo del 'free jazz' a conclusione degli anni '60 si chiude e per molti jazzisti di gran fama iniziano periodi di oblio o di virate verso altri mondi sonori.
   Negli anni '70, non sono pochi i jazzisti che, facendo di necessità virtù, decisero di sperimentare un jazz più commerciale e radiofonico. LOVE WILL FIND AWAY per la Arista Records, pubblicato nel 1977, è il capitolo discografico che avvicina Sanders alle sonorità della soul music. Ad onor del vero, Sanders era già avvezzo all'R'n'B, avendolo digerito alla fine degli anni '50 quando a Little Rock, sua città natale, s'intrufolava nei vari club dove suonavano i vari gruppi di jazz ed r'n'b, e poi appena trasferitosi a New York City dove suonava in varie band di r'n'b. E prima di LOVE WILL FIND AWAY, nel 1971 c'era stato l'incontro con Stanley Clarke per l'album BLACK UNITY dove in due lunghe suite, il caos sonoro tipico del free-jazz si amalgamava con le sonorità black provenienti dall'Africa. 
   LOVE WILL FIND AWAY è un disco ancor'oggi fresco e piacevole, con un Sanders che non manca (pur essendo un lavoro più commerciale e di facile ascolto) di rimarcare con il suo sax le sue radici nel free jazz. La produzione del disco è affidata a Norman Connors,  batterista jazz, formatosi negli anni '70 nei dischi dei sassofonisti Carlos Garnett, Sam Rivers e dello stesso Sanders nel periodo in cui incise per la Impulse. Ma Connors ai tempi di LOVE WILL FIND AWAY aveva già virato verso sonorità più soul ed r'n'b, inanellando una serie di successi discografici avvalendosi anche delle splendide voci di Michael Henderson, Jean Carne e Phyllis Hyman. Connors collabora anche agli arrangiamenti, nella composizione di alcuni brani e canta brevemente in un duetto con Phyllis Hyman nel brano Everything I Have Is Good che chiude il disco, con un arrangiamento soul-reggae e da solo in Pharomba scritto insieme a Sanders, dove su una base di sonorità caraibiche il sax di sanders vola libero. La Hyman la ritroviamo anche in Love Is Here ed in As you Are (il brano più soul ed anche più bello dell'intero disco). La cantante era reduce dall'enorme successo ottenuto prestando la sua voce nel disco di Connors, YOU ARE MY STARSHIP pubblicato dalla Buddha Records nel 1976 che arrivò al 5° posto nella classifica r'n'b ed al primo in quella jazz. 
   Nel disco compare anche la cover di Got To Give It Up di Marvin Gaye che chiude il lato A senza convincere più di tanto, tanto da sembrare più un riempitivo. Altra cover dove un arrangiamento d'archi la fanno da padrone, è Answer Me, My Love. originariamente una popular song di origine tedesca, che in seguito ritradotta in inglese, divenne un successo di Nat King Cole nel 1954. A chiusura non rimane che citare il brano di apertura della facciata A che da il titolo al disco Love Will Find Away, molto lirico dove si notano i contrappunti solistici del piano di Bobby Lyle, altro talento che poteva già vantare una jam session con Jimi Hendrix (poco prima di morire nel 1970, Jimi sembra volesse formare un gruppo di jazz rock) ed un ingaggio per il tour del '74 della band Sly & Family Stone.
   Dopo questa parentesi tra il pop ed il soul jazz, la discografia di Pharoah Sanders ha continuato su binari più jazzistici, per poi ritrovarsi in ambito soul, anni dopo, nel 1998, in versione di ospite nel disco di Terry Callier per la Verve Records, TIME PEACE.     

a cura di: Gianfranco Ventrosini        








  

sabato 13 aprile 2019

SEGNALAZIONI EDITORIALI #02

  Con il numero uscito a Marzo 2019 della rivista 'PROG Italia' diretta da Guido Bellachioma ed edita da Sprea, si è conclusa una lunga ed interessante storia (divisa in tre parti sui N.21/2018, N.22/2019 e N.23/2019) sul periodo 'canterburiano' della scena musicale inglese, dalla metà degli anni '60 ai primi anni '70.
  L'autore, Alberto Popolla, è un clarinettista, arrangiatore e compositore diplomatosi al Conservatorio Licinio Refice di Frosinone. Popolla ha scritto il testo originariamente nel 2012 come tesi di diploma accademico di primo livello in Jazz, e l'ha poi riadattato in tre parti per la pubblicazione su PROG Italia.
 Anche se non si è particolarmente interessati al genere 'progressive' come chi scrive (orientato più verso la black music ed il jazz) la lettura di questo testo riporterà sicuramente indietro nel tempo quando negli anni '60/'70 i generi musicali si contaminavano tra loro. Il rock con il jazz, il jazz con il soul, il rock con l'elettronica o con il blues e così via. Il 'canterbury style' è stato un po' tutto questo o forse no. Gruppi come i Soft Machine, gli Hartfield and the North, i Caravan, i Gong, hanno lasciato significative ed importanti tracce sonore piene di contaminazioni di altri generi musicali.  
   Leggere questa 'Canterbury Story' è stato davvero piacevole. Si ritrovano i nomi e i volti di musicisti di alto livello professionale ed alcuni anche un po' bizzarri, come Robert Wyatt, Hug Hopper, David Allen, Kevin Ayers. 
   L'autore l'ha redatto da appassionato ben documentato, ma anche con gran competenza sia storica che tecnica, essendo un musicista egli stesso. Un valore in più che si aggiunge alla scorrevolezza della scrittura, che non sempre aiuta la digestione dei testi in stile accademico di alcuni scritti sulla musica in genere.


Per un approfondimento : 

V. D'Onofrio / V. Ferro, I 101 racconti di Canterbury. 
                                     Viaggio nella storia di una (non) scena. 

                                     CRAC Edizioni - 1917 








a cura di : Gianfranco Ventrosini